da Dott. Marco Doccisi | 14 Dic 2022 | Consigli del dentista
Cosa sono le faccette dentali? Servono davvero a correggere i difetti estetici sui denti? Ne parliamo in questo articolo.
A quanti è capitato di non sorridere e di non mostrare i propri denti per vergogna?
Discromie, irregolarità di superficie o di posizionamento, denti troppo corti o sorriso gengivale sono spesso causa di vergogna e perdita di autostima, che inducono a non sorridere e a non sentirsi sicuri di sé.
Inoltre, con l’avanzare dell’età è fisiologico che i denti perdano lucentezza e candore.
In questi casi, se non si vuole intervenire con procedure chirurgiche invasive, lunghe e spesso anche dolorose, è possibile ricorrere alle faccette dentali, conosciute anche come faccette estetiche, uno tra i metodi più innovativi e non invasivi per migliorare l’aspetto dei denti.
Si tratta di sottili lamine di vari materiali che vengono applicate sulla superficie dei denti per scopi estetici, con fini anche curativi.
Il loro spessore varia da 0,3 a 0,7 mm, per cui risultano impercettibili da chi le utilizza e permettono di nascondere difetti di colore, forma e posizionamento dei denti.
Le faccette estetiche dentali possono essere realizzate in ceramica, porcellana o disilicato, tutti materiali resistenti, durevoli e di alta qualità, o in composito, che garantisce nell’immediato risultati analoghi rispetto ai materiali precedenti ma risulta meno duraturo, seppur possa essere riparato.
Le faccette dentali sono estremamente resistenti e i risultati ottenuti si mantengono per molti anni. Il trattamento sicuramente necessita di attenzione scrupolosa e materiali di qualità, ma se il paziente si impegna nel tempo ad eseguire una corretta igiene orale e a periodici controlli, le faccette dentali possono durare a lungo. Sono, pertanto, una soluzione estremamente pratica e longeva.
Quando mettere le faccette dentali
Le faccette possono essere utilizzate per migliorare l’estetica dei denti, ma non solo.
È possibile ricorrere all’utilizzo delle faccette, ad esempio, quando si vuole ottenere uno sbiancamento più marcato, che magari non si riesce a ottenere con i metodi tradizionali e se il risultato si vuole mantenere per molto più tempo.
Inoltre, se si vuole ripristinare la lucentezza naturale dei denti, le faccette sono la soluzione ideale.
Anche nel caso, però, di denti scheggiati, denti storti o con spazi irregolari, denti consumati dall’età o dal bruxismo, le faccette dentali possono ricostruire e colmare le sezioni mancanti, migliorando in tal modo anche la masticazione e prevenendo malocclusioni.
È, inoltre, possibile ridurre il sorriso gengivale grazie alle faccette dentali. Il sorriso gengivale è un inestetismo della bocca piuttosto comune, caratterizzato da un’esposizione eccessiva delle gengive dell’arcata dentale superiore.
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Faccette estetiche: pro e contro
I vantaggi delle faccette dentali sono molteplici. Grazie a questo metodo, infatti, si ottengono risultati estetici e curativi per tutta la bocca, senza dover ricorrere a interventi invasivi.
Le faccette estetiche sono la soluzione migliore e più veloce per migliorare il proprio sorriso. I pro, dunque, sono la garanzia del risutato, la velocità del trattamento, poiché sono sufficienti due sedute per l’applicazione, più una prima visita di valutazione, e la durata dei risultati ottenuti.
Altri vantaggi, poi, sono il perfezionamento della masticazione, l’annullamento dell’eccessiva spaziatura tra un dente e l’altro, la correzione di rotazioni o malposizioni e la riparazione di danni ai denti.
Se si può parlare di contro, l’unico ostacolo potrebbe ritrovarsi nella fase di posizionamento delle faccette, che disturba alcuni pazienti durante il trattamento.
Per una loro ottimale applicazione è infatti necessario limare la superficie dello smalto dei denti. L’odontoiatra è tenuto a rimuovere dallo 0,1 all’1,5 mm della superficie esterna dello smalto, a seconda dello stato dei singoli denti, per ottenere una tenuta e una durata ottimale delle faccette dentali.
Faccette dentali: prezzo
Il costo delle faccette dentali dipende da più fattori:
- scelta del materiale;
- qualità delle resine utilizzate per la loro applicazione;
- numero dei denti coinvolti;
- motivo dell’intervento ed esigenze specifiche.
Nonostante il costo, però, l’utilizzo delle faccette dentali rappresenta la migliore soluzione per una bocca sana e bella, con risultati visibili rapidi e durevoli.
Per maggiori informazioni contatta il nostro studio odontoiatrico che saprà guidarti al meglio, rispondere ad ogni tua esigenza e darti un quadro completo dei costi.
Il Dott. Doccisi, svolge la sua attività di dentista nel suo studio di Firenze in Via Vincenzo Borghini 1.
Laureato in Medicina e Chirurgia, è iscritto all’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri col n.1278.
da Dott. Marco Doccisi | 15 Nov 2022 | Consigli del dentista, Dentista per bambini
Se ti svegli al mattino con la mandibola dolorante e soffri di mal di testa frequenti, è probabile che, durante la notte, i muscoli si contraggono al punto da digrignare i denti e danneggiarne, nel lungo periodo, la struttura.
È il problema del bruxismo, una condizione che si caratterizza proprio per lo stringere i denti in maniera del tutto involontaria, molto più comune di notte che di giorno solo perché, nelle ore di veglia, si può controllare efficacemente l’impulso.
Quali sono le cause del bruxismo e quali rimedi al bruxismo possiamo mettere in atto per salvaguardare i denti? Ne parliamo in questo articolo.
Cause psicologiche e fisiche
A cosa è dovuto il bruxismo? Questa è una domanda che non conosce ancora un’univoca risposta scientifica, ma diversi studi hanno potuto confermare che spesso il digrignare dei denti è associato ad ansia, stress, tensione psicologica accumulata durante il giorno.
Il bruxismo può avere quindi natura psicosomatica, dal momento che la contrazione è involontaria. Possono, però, concorrere anche altre cause, legate all’assetto dentario. Una malocclusione, con disallineamento delle arcate dentarie, può rivelarsi fastidiosa tanto da portare a stringere i denti durante la notte, oppure una malattia neurodegenerativa che stimola l’impulso di serrare la mascella.
Altri fattori che concorrono come cause del bruxismo sono l’uso di alcool e di droghe, nonché il fumo.
I sintomi del bruxismo più comuni
Come si fa a capire se si soffre di bruxismo? Dal momento che è un’azione involontaria, a meno che alcune manifestazioni non avvengano anche di giorno, resta difficile individuare il bruxismo mentre è in atto.
Alcune conseguenze del bruxismo, però, sono ben evidenti quando ci si risveglia. Il primo è il dolore mandibola e cervicale, dovuto alla contrazione molto stretta dei muscoli della masticazione. Se mandibola e mascella fanno male al risveglio, è probabile che digrigni i denti durante la notte.
Anche il mal di testa è un sintomo ricorrente, soprattutto nelle prime ore del mattino. Può presentarsi come una cefalea, o come un dolore muscolare che si irradia tra il tratto cervicale e le orecchie.
Per quanto riguarda i denti, alla lunga il bruxismo può rovinarne la struttura, levigando lo smalto e usurando la parte superiore, fino a scheggiarli e a rendere la dentatura più sensibile.
Bite e rimedi
La percentuale dei pazienti che si reca da uno specialista odontoiatra per capire come risolvere il problema bruxismo è molto alta. Soprattutto perché stress e ansia fanno parte della vita quotidiana di molte persone, e non è raro che ciò si ripercuota digrignando i denti di notte.
La soluzione più comune prevede l’uso del bite denti. Il bite per bruxismo è un dispositivo che si applica sui denti per proteggerli dallo sfregamento.
Il bite dentale, quindi, agisce bloccando l’azione erosiva dei denti che digrignano di notte, ma non agisce veramente sulle cause del bruxismo, per le quali va comunque fatta un’indagine più approfondita.
In particolare, l’odontoiatra può eseguire una radiografia ortopanoramica per escludere eventuali malocclusioni che portano al bruxismo, ma può anche rivelarsi utile un esame del sonno, la polisonnografia, eseguita in laboratorio per verificare la qualità del riposo notturno e notare stati di agitazione, risvegli, insonnia.
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Quale bite bruxismo scegliere?
Il bite è il rimedio più diffuso per contrastare le conseguenze del bruxismo. Non tutti i bite dentali, però, sono uguali. Ne esistono, infatti, diversi modelli, tra cui:
- bite automodellante: il bite si presenta con una finitura liscia, realizzato in materiale compatibile con i denti. È definito automodellante proprio perché prenderà la forma di chi lo indossa quando viene schiacciato tra le due arcate dentarie;
- bite personalizzati: sono più rigidi dei bite automodellanti e realizzati su misura dal dentista, che prenderà l’impronta dentale del paziente al fine di modellare perfettamente il bite in base alla forma della sua dentatura;
- bite preformati: realizzati in resina, sono più economici dei primi due bite e sono disponibili in farmacia; tuttavia, avendo già una forma predefinita, non sempre si adattano bene alla bocca e potrebbero peggiorare il problema se non vengono acquistati a seguito di una visita specialistica per diagnosticare il bruxismo.
Quanto dura il digrignare i denti?
L’atto di stringere i denti e serrare la mascella dura pochi secondi, ma viene ripetuto frequentemente durante la notte, soprattutto durante la seconda fase del sonno.
Riguardo alla durata del problema di per sé, questo dipende dalle condizioni di base che lo causano. Per questo consigliamo di fare una visita specialistica quanto prima, appena appaiono i sintomi più comuni. Oltre al bite, molte persone affette da bruxismo trovano giovamento nella meditazione, nello yoga e in altri metodi che inducono alla riduzione dello stress.
Il bruxismo nei bambini
Sembra impossibile pensarlo, ma anche i piccoli di famiglia sono sottoposti a diverse forme di stress – e sì, anche i bambini digrignano i denti di notte, manifestando tutti i sintomi del bruxismo.
Nei bambini è più frequente anche la manifestazione diurna, che si distingue facilmente per il rumore prodotto dallo sfregamento dei denti. Quando succede, non bisogna rimproverare i bambini: stanno esprimendo un disagio che è meglio indagare a fondo, e che può essere accompagnato da una maggiore stanchezza, dovuta al sonno disturbato, e a risvegli notturni frequenti.
Quando il bruxismo riguarda i bambini, bisogna subito escludere malocclusioni con una visita dal dentista. Si può quindi optare per un bite personalizzato adatto alle arcate dentarie dei bambini, solo se il bambino ha sviluppato l’intera dentatura definitiva.
In genere, comunque, il digrignamento infantile tende a risolversi spontaneamente con la crescita.
Il Dott. Doccisi, svolge la sua attività di dentista nel suo studio di Firenze in Via Vincenzo Borghini 1.
Laureato in Medicina e Chirurgia, è iscritto all’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri col n.1278.
da Dott. Marco Doccisi | 18 Ott 2022 | Chirurgia orale, Consigli del dentista, Impianti dentali
Gli impianti dentali senza osso sono una valida alternativa, nell’ambito dell’implantologia, per riabilitare l’arcata dentaria e inserire nuovi denti anche quando non vi è sufficiente osso disponibile.
Gli impianti, infatti, sono solitamente effettuati inserendo una filettatura in titanio all’interno del dente da ricostruire; il titanio è un materiale in grado di integrarsi, quindi, in circa 4-6 mesi, l’impianto sarà saldamente legato all’arcata ed è possibile procedere con la ricostruzione.
A volte, però, l’odontoiatra che esegue l’impianto dentale si trova a non avere matrice di osso disponibile. In questo caso, deve ricorrere ad altre soluzioni, che per l’appunto rientrano nella sfera degli impianti dentali senza osso.
Quanto osso serve per impianto dentale?
Per realizzare un impianto dentale, come abbiamo visto, è necessaria una base ossea di partenza, che è solitamente ricavata dalla porzione di dente rimanente.
In caso in cui questa, però, non fosse disponibile, bisogna trovare un’alternativa all’impianto dentale che permetta di sostituire comunque il dente mancante.
L’assenza di osso viene definita atrofia ossea, e può essere causata da un trauma che ha rotto il dente, dalla piorrea o da precedenti estrazioni dentarie. Le atrofie ossee si distinguono in tre tipi:
- Verticale: manca materiale osseo in altezza;
- Orizzontale: lo spessore dell’osso residuo è troppo ridotto;
- Mista: combina atrofia verticale e orizzontale.
A decidere se un dente è capace di sorreggere un impianto dentale sono due parametri: la densità ossea, che misura la quantità di minerali di un centimetro cubo osseo, e la qualità ossea, che valuta in generale le proporzioni tra le varie componenti del tessuto osseo.
L’odontoiatra valuterà quindi questi parametri per decidere se l’osso è sufficiente per sorreggere un impianto dentale. In seguito, individua anche quale impianto dentale è più adatto alle condizioni del dente su cui operare.
Alternativa all’impianto dentale
Cosa succede quando non si può fare un impianto dentale? L’odontoiatra ha a disposizione diverse soluzioni per inserire denti fissi senza osso a disposizione, agendo proprio a monte per ricostruire parte dell’osso e avere così spazio a sufficienza per un intervento di implantologia efficace.
Implantologia a carico immediato senza osso
L’implantologia a carico immediato senza osso permette di risparmiare tempo e complicanze chirurgiche. È una tecnica avanzata per cui, grazie all’uso di computer e software specifici, il dentista riesce a inserire gli impianti anche dove c’è poco osso e a realizzare l’intero nuovo dente in tempi molto brevi.
Si distinguono due casi:
- presenza di poco osso: si procede con tecnica All on 4 o All on 6, in cui gli impianti vengono leggermente inclinati per favorire l’integrazione;
- mancanza completa di osso: si procede con l’implantologia iuxtaossea, che prevede l’uso di impianti 3D realizzati su misura in base alle superficie e all’estensione in volume dell’osso residuo.
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Rigenerazione ossea
La rigenerazione ossea consiste nell’inserimento di porzioni ossee provenienti da altre parti del corpo del paziente (autologo, proveniente dalla mandibola o dalla mascella) o di ossa biocompatibili provenienti da altri animali (osso bovino o osso equino).
Questo intervento è chiamato innesto osseo o trapianto osseo, e prevede tempi più lunghi per la guarigione e la stabilizzazione, in genere fino a sei mesi. Dopo aver raggiunto la completa guarigione, il dentista procede con l’inserimento dell’impianto dentale per completare il lavoro.
Rialzo del seno mascellare
Questa tecnica funziona se i denti mancanti si trovano sull’arcata superiore. I seni mascellari sono due cavità presenti sulla mascella, utili per umidificare e riscaldare l’aria che entra in bocca.
Data la loro funzionalità, bucare queste ossa potrebbe rendere instabile l’intera arcata; il dentista, se decide di procedere con questa tecnica, provvederà ad innesti ossei localizzati alla base dei seni mascellari, così da dare spessore in più su cui inserire gli impianti.
Altre alternative ormai in disuso sono la distrazione osteogenetica e l’espansione della cresta ossea; in entrambi i casi si mira ad aumentare la superficie di osso disponibile, ma sono tecniche molto invasive che possono essere tranquillamente sostituite da quelle più moderne sopra menzionate.
Innesto osseo dentale: controindicazioni
Chi non può fare impianti dentali? Abbiamo visto diversi metodi per sostituire efficacemente i denti mancanti con impianti dentali senza osso disponibile.
Tuttavia, in presenza di particolari condizioni di salute che esulano dalla mancanza di materiale osseo, non è sempre possibile procedere con l’implantologia fissa.
Gli impianti non possono essere realizzati se il paziente è affetto da patologie come:
In questi casi, si può optare per la ricostruzione delle arcate utilizzando denti fissi senza impianto, con tecniche che vanno dai ponti dentali, che si appoggiano sui denti naturali rimasti nelle vicinanze di quello da sostituire.
Per patologie come il diabete compensato, problemi cardiaci, malattie autoimmuni e disturbi della coagulazione, nonché per l’osteoporosi, il medico può decidere, in accordo con gli specialisti che seguono il paziente per la sua diagnosi, di procedere in tutta sicurezza con un impianto dentale.
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da Dott. Marco Doccisi | 27 Set 2022 | Consigli del dentista
Lo sbiancamento denti professionale è uno dei servizi più richiesti ai dentisti, per tornare ad avere denti bianchi e lucidi in breve tempo.
Cosa lo differenzia dagli sbiancanti denti che si utilizzano in casa? Quanto dura la seduta e, soprattutto, quanto durano poi i denti bianchi?
Ne parliamo in questo articolo, dedicato proprio allo sbiancamento dentale professionale.
Cosa usano i dentisti per sbiancare i denti?
Lo sbiancamento dentale a opera dei dentisti viene effettuato dopo una seduta di pulizia dei denti. Prima si elimina tutto il tartaro e la placca depositata, quindi si prosegue con l’applicazione di prodotti dall’effetto sbiancante.
Quali sono questi prodotti? Sono due soluzioni chimiche, in particolare:
Entrambi sono in formulazione gel, che vengono applicati rispettivamente sulla superficie dei denti e su apposite mascherine da lasciare in posa.
Anche i tempi dei trattamenti cambiano: con il gel a base di perossido di idrogeno sono necessarie dalle due alle quattro applicazioni, per almeno 15 minuti ciascuna; il perossido di carbammide, applicato sulle mascherine, richiede una posa di 30 minuti.
Se hai già fatto una seduta di sbiancamento denti dal dentista, saprai che non ci si limita ad applicare il gel sui denti, ma si potenzia la sua efficacia attraverso l’uso del laser.
Nello sbiancamento denti con laser, la luce emanata direttamente sui denti favorisce l’attivazione del perossido di idrogeno che penetra all’interno della struttura del dente e scompone le molecole che compongono le macchine in particelle più piccole, facili da eliminare.
Ogni quanto fare sbiancamento denti?
È difficile dare una risposta univoca a questa domanda, in quanto l’ingiallimento dei denti dipende da vari fattori e cambia da persona a persona.
In genere, è opportuno eseguire lo sbiancamento subito dopo una seduta di detartrasi, consigliata una volta all’anno. Chi fuma, però, potrebbe ritrovarsi i denti gialli molto prima, quindi dovrebbe recarsi dal dentista anche ogni sei mesi.
Il tuo dentista di fiducia saprà consigliarti al meglio su quando riprendere l’appuntamento e quali accortezze prendere per ritardare il più possibile la comparsa delle macchie sui denti.
Cosa non fare dopo lo sbiancamento dentale?
Subito dopo lo sbiancamento, i denti restano più sensibili e propensi ad assorbire pigmenti che potrebbero vanificare il lavoro del dentista e far tornare le macchie prima del previsto.
Ecco perché è bene evitare cibi, liquidi e brutte abitudini come:
- assumere tè, caffè, vino e bevande pigmentate che creano macchie scure sui denti;
- alimenti colorati, in particolare del mondo vegetale, come ciliegie, barbabietole, pomodori, lamponi, more e tutti quelli che in genere creano macchie colorate sulla lingua e sui denti;
- cioccolata e liquirizia, anch’essi due alimenti molto pigmentate;
- alimenti ad alto contenuto di acidità e bibite gassate, come il limone o la coca-cola, che potrebbero danneggiare i denti ancora sensibili dopo lo sbiancamento.
Il fumo, per la presenza di tabacco e nicotina, è anch’esso nemico di un sorriso bianco e smagliante. Meglio evitare di fumare almeno per le sei-otto ore successive alla seduta di sbiancamento.
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Dopo quante ore dopo lo sbiancamento si può mangiare?
È possibile mangiare già dopo un paio d’ore dalla fine della seduta. Tolti i cibi sopra menzionati e tutti gli altri che possono macchiare i denti, si può serenamente mangiare tutto: dalle proteine della carne e del pesce ai primi piatti, purché siano alimenti poco colorati.
Le mele e il latte possono essere consumate, e se proprio non si può fare a meno di una bevanda non alcolica colorata come la coca-cola o l’aranciata, si può ricorrere per qualche giorno all’uso della cannuccia.
Quando dura il dolore ai denti dopo lo sbiancamento?
Lo sbiancante denti, che sia a base di idrogeno o di carbammide, non crea un vero e proprio dolore. I denti più sensibili potrebbero però reagire al freddo e al caldo eccessivo degli alimenti, soprattutto se, di base, si soffre di disturbi quali gengivite o si hanno denti iper-sensibili a prescindere dal trattamento odontoiatrico.
Una sensibilità accentuata può permanere per qualche giorno. Se dovesse persistere, meglio contattare il dentista.
È probabile che situazioni di dolore ai denti siano legate più alla seduta di pulizia dei denti che allo sbiancamento vero e proprio, dato che, per la detartrasi, si utilizzano strumenti che potrebbero infastidire le gengive più fragili.
Cosa fare dopo lo sbiancamento dentale
Esclusi tutti i comportamenti sopra riportati, si può vivere sereni con tutte le attività quotidiane solite dopo una seduta di sbiancamento denti.
Vogliamo aggiungere solo un altro suggerimento tra i consigli post sbiancamento dentale: curare bene l’igiene orale giornalmente ritarda non solo la comparsa delle macchie sui denti, ma anche la visita dal dentista.
Utilizza dopo ogni pasto spazzolino e dentifricio, anche uno sbiancante per agire ogni giorno contro i denti gialli o i denti macchiati, e integra collutorio e filo interdentale per eliminare tutti i residui di cibo e rallentare la produzione di tartaro.
Contattaci per prenotare la tua seduta di sbiancamento dentale presso il nostro studio.
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da Dott. Marco Doccisi | 1 Set 2022 | Consigli del dentista
Diagnosi: granuloma ai denti? Niente paura, vediamo in questo articolo in cosa consiste il granuloma e come guarire con l’aiuto del dentista.
I denti, insieme alle ossa, sono le parti del nostro organismo più resistenti. Ciononostante possono essere interessati da malattie e disturbi di vario tipo, e fra questi è da annoverare anche il granuloma dentale, o granuloma apicale.
Il granuloma dentale è un’infiammazione dell’ apice radicale, ossia la parte terminale della radice del dente. Si presenta sotto la forma di una cisti gengivale e nella maggior parte dei casi risulta essere asintomatico, e pertanto tende a cronicizzare.
Nella sua forma semplice, infatti, il granuloma dentale non viene avvertito dal paziente perché non causa nessun sintomo, e rimane costante, senza dare origine ad alcun episodio acuto, anche per parecchio tempo.
Il granuloma dentale è spesso conseguenza di carie non curate, denti rotti o scheggiati e si manifesta a causa della proliferazione batterica attraverso i canali radicolari, ovvero canali all’interno della radice in cui scorrono fibre nervose e vasi sanguigni.
Questi batteri lentamente, ma progressivamente, sconfinano nelle zone circostanti fino ad arrivare spesso alla polpa dentale, ossia il cuore vitale del dente, all’interno della quale sono racchiuse terminazioni nervose, vasi sanguigni e cellule addette alla produzione della dentina. In tal modo possono causare infiammazioni gravi fino ad arrivare alla necrosi.
Il granuloma dentale può essere di tre tipi:
- granuloma dentale semplice, la forma più diffusa, dove l’infiammazione arriva fino alla radice del dente e si manifesta con arrossamento e leggero gonfiore della zona circostante;
- granuloma suppurato, quando in fase avanzata di infiammazione, si manifesta produzione di pus;
- granuloma ascessualizzato, quando l’infiammazione ormai cronica causa ascesso al dente.
Seppure in fase iniziale il granuloma dentale non manifesti sintomi, col passare del tempo può comportare dolori anche parecchio forti, fastidi gengivali e gonfiore, ma nei casi più gravi può anche interessare le altri parti del volto, dando origine a dolori all’occhio, mal di testa frequenti e ingrossamento dei linfonodi situati sul collo.
Le conseguenze di un granuloma dentale non sono solo localizzate, ma possono generalizzarsi e interessare tutto l’organismo. Se trascurato, infatti, terrà sempre attivo il sistema immunitario, con tossine batteriche abbondanti e rischi di patologie importanti a livello sistemico.
Per curare il granuloma dentale non sempre si ricorre all’estrazione del dente, anzi questa soluzione si adotta solo nei casi più gravi; spesso la migliore cura è la devitalizzazione del dente. Malgrado quello che si pensa, però, la devitalizzazione non significa che il dente non sia vivo, ed è per questo che il granuloma può manifestarsi anche all’interno di un dente già devitalizzato.
Sebbene si tratti di un’infiammazione, inoltre, l’assunzione di antibiotici per via orale non è sempre utile, perché spesso questi non riescono a trattare una infezione così profonda come quella che si sviluppa in questi casi.
Cause granuloma: cosa può provocare un granuloma dentale?
Il granuloma dentale può dipendere da numerose cause:
- carie trascurate e in fase avanzata,
- denti scheggiati o traumi dentali,
- pulpiti, ossia infiammazioni della polpa del dente, non curate,
- necrosi della polpa del dente non trattata,
- conseguenza di devitalizzazioni o estrazioni dentali non corrette,
- conseguenza di otturazioni non corrette,
- malattie paradontali, come gengiviti e parodontiti.
Qualunque sia la causa, il processo infiammatorio è comune a tutti: si crea infatti un terreno fertile per la proliferazione di batteri, che trovano un facile accesso all’interno del dente.
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Parodontite: cura e sintomi
Per curare un granuloma ai denti è fondamentale, innanzitutto, fare una corretta diagnosi e quindi individuarne l’esatto posizionamento e la tipologia. Il granuloma dentale non si riassorbe da solo: per guarire è necessario effettuare una visita dallo specialista ed esami diagnostici mirati. Fatto ciò, la cura può essere di quattro tipi:
I tempi di guarigione di un granuloma ai denti dipendono da diversi fattori, ma certamente la tempestività nell’intervento rappresenta il punto focale: prima si interviene per la sua rimozione, prima si guarirà.
Seppure i sintomi locali, come dolore, gonfiore e indolenzimento durante la masticazione, passino nel giro di pochi giorni, una completa guarigione può richiedere anche mesi e tutto dipende dall’entità dell’infiammazione.
Per essere sicuri di una totale scomparsa dei sintomi e della patologia è necessario che le radiografie di controllo mostrino un’area pulita attorno al dente, senza quel tipico alone nero che lo contraddistingue in caso di infiammazione.
È quindi necessario effettuare visite e radiografie periodiche, ma soprattutto seguire semplici ma fondamentali regole, come una corretta pulizia dentale e una sana alimentazione.
da Dott. Marco Doccisi | 22 Giu 2022 | Consigli del dentista, Parodontite
Gengive sensibili, fragili, talvolta pruriginose: se avverti questa sensazione di fastidio in bocca, non ignorare i segnali e corri subito dal dentista.
Potrebbe trattarsi dei sintomi iniziali della piorrea, una malattia che, con l’andare del tempo e se non ben curata, può portare alla perdita di denti.
Cos’è la piorrea?
La piorrea dei denti, o parodontite, è un’infiammazione cronica delle gengive, il tessuto che sostiene il dente insieme all’osso alveolare, al legamento parodontale e al cemento radicolare.
Si stima che sia la sesta malattia più diffusa al mondo, anche se in molti non si rendono conto di soffrirne se non quando si trova già in stadio avanzato.
La parodontite è così frequente soprattutto per le sue cause, spesso di natura ambientale: fumo, presenza di placca, obesità, diabete, stress, carenza di vitamina C sono tutte legate allo sviluppo dell’infiammazione delle gengive.
La piorrea, però, può essere anche sintomo di una malattia sistemica, come spiegato dall’American Academy of Periodontology nel 2017. In questo caso, si avrà un’infiammazione delle gengive come risultato di malattie sistemiche di natura ematologica o genetica, come la Sindrome di Down, il Morbo di Chron, la leucemia, la neutropenia e altre patologie.
Ciò che non cambia, qualunque sia la sua causa, è la manifestazione della piorrea, ossia i suoi sintomi.
Piorrea: sintomi iniziali e stadi
Rendersi conto della piorrea iniziale non è facile, poiché non sempre i sintomi sono visibili e presenti.
La piorrea, causata da una carica batterica in eccesso sulla placca, lavora in maniera “silente” e ci si accorge dei sintomi solo quando l’infiammazione si trova a uno stadio più avanzato.
Come si fa a capire, quindi, se si ha la piorrea?
Tra i sintomi piorrea più comuni possiamo annoverare:
- prurito alle gengive: è una sensazione di fastidio pruriginoso che si avverte soprattutto dopo i pasti o dopo aver assunto alimenti e bevande irritanti, come il caffè, le bevande gassate, pomodori, pesche, fragole, formaggio stagionato, salumi;
- alitosi: la presenza di un alito cattivo persistente è indice di una carica batterica alta e di una concentrazione dei batteri nei tessuti. Per questo, così come in presenza di carie l’alito tende ad essere poco gradevole, allo stesso modo la malattia parodontale può portare a un’alitosi persistente.
- sanguinamento gengivale leggero: i tessuti delle gengive tendono a formare piccole lacerazioni, soprattutto allo spazzolamento e durante la pulizia dei denti. Ciò comporta una maggiore tendenza a ferite e perdite ematiche.
In fase più avanzata, i sintomi quali l’alitosi e il sanguinamento peggiorano. A questi si aggiungono:
- recessione gengivale: la piorrea comporta una riduzione del tessuto gengivale, creando quel fenomeno che spesso viene definito “gengive che si ritirano”. Il dente, così più esposto, può diventare più instabile poiché viene a mancare il sostegno del parodonte, causando, negli anni, una maggiore propensione alla caduta;
- comparsa di spazi tra i denti: la maggiore mobilità comporta un distanziamento tra i denti che crea scompensi nell’equilibrio della distribuzione dentale;
- dolore alla masticazione: la dolorabilità alla masticazione aumenta mano a mano che la malattia progredisce. Se masticare reca dolore, è probabile che la patologia sia ad uno stadio già avanzato, in cui i denti si muovono e solo un terzo della radice del dente si trova nell’osso.
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